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L'EREMO DI SAN LEONARDO



Foto: Mirko Masetti
Pochissime persone erano a conoscenza di una antichissima chiesetta situata a strapiombo su di uno sperone proprio sopra la gola dell'Infernaccio; qualche pastore o escursionista occasionale e solamente consultando qualche vecchia cartina topografica era possibile rintracciare il luogo dove era presente una piccolissima croce segno inequivocabile della presenza in passato di una minuscola chiesa.

Quando Pietro Lavini cominciò a scavare nei dintorni con l'intenzione di ricostruire quell'antico edificio, don G. Crocetti, che per primo successivamente ne descriverà la storia in un suo libro (S. Leonardo: l'eremo dei Sibillini), gli raccomandò di fare molta attenzione perché poteva trovare delle meravigliose sorprese tra i ruderi di uno degli eremi più antichi e belli di tutte le Marche.


Ma come mai fu costruito un tempio in una zona così difficilmente raggiungibile impervia e molto scomoda?? Per rispondere a questa domanda bisogna fare senz'altro un bel tuffo nel passato e considerare e comprendere al meglio le origini e lo sviluppo che ha avuto il Golubro nel corso dei secoli.

Uno dei motivi principali sta nel fatto che il Golubro era la via più breve e accessibile per tutte quelle popolazioni che si trovavano al di qua e al di là dell'Appennino. La via che univa le due vallate diametralmente opposte (quella del fiume Nera che si riversa nel Tevere e quella del fiume Tenna che sfocia nell'Adriatico), offriva una delle migliori possibilità di collegamento tra un versante e l'altro. L'unico problema era l'attuale gola dell'Infernaccio e quindi la necessità di una via che sfiorando lo sperone che si trova a picco sulla gola, collegasse i due versanti. Infatti, anticamente la strada che collegava Capotenna con la Val Nerina , passava nel pianoro antistante all'eremo. Per chi proveniva da Amandola si costeggiava il Tenna fino a Tre Ponti sotto Montefortino dopo di che si proseguiva verso i Campi di Vetice e quindi si risaliva per l'eremo attraverso il Fosso Rio. Poi, proseguendo verso Capotenna si attraversava il valico di Passo Cattivo e si raggiungeva la Val Nerina.

Quando gli ultimi monaci camaldolesi abbandonarono l'eremo dopo circa una quarantina di anni, tra i vari motivi ci fu quello dell'esistenza di una nuova strada che conduceva a Roma attraverso Norcia, Visso ed altri luoghi (..di una strada che vi passa a lato e che duce a Roma, a Norzia, a Visse et altri luoghi che dalli tempi buoni è molto frequentata..).


Stando alle ultime parole, si può affermare che molte persone nel passato erano costrette chiaramente a percorrere il Golubro; con l'avvento poi dell'industrializzazione e lo spopolamento delle montagne molte cose sono cambiate ma un tempo la pastorizia, la transumanza, l'agricoltura erano la vera ricchezza. La montagna era piena di gregge e pastori i quali all'inizio di ogni inverno conducevano le loro pecore a svernare presso le campagne romane.

Tutte le mulattiere sotto la Priora erano un via vai di bestiame seguiti dai propri padroni ben attrezzati e con carri al seguito. I muli trasportavano le poche masserizie ed indumenti per affrontare le temperature rigide dell'inverno.

Oltre ai pastori vi erano anche i carbonai che traevano un'ottima fonte di guadagno con questa attività prima dell'avvento del gas.

E poi molti operai, persone che andavano a caccia di lavoro verso Castelluccio, commercianti che si muovevano verso Roma per affari, di briganti che derubavano i viandanti per trovar rifugio sicuro tra questi monti. Ed inoltre, persone che si dirigevano verso la Città Eterna per devozione. E proprio il ritrovamento di una medaglia da parte di P. Pietro Lavini tra le macerie dell'eremo a confermare quest'ultimo fatto.

Nel suo libro “Lassu sui monti”, racconta che il rinvenimento della medaglia non è importante per il suo valore in se ma quanto perché ci offre la possibilità di ricostruire storia ed eventi nel Golubro.

Da un lato si intravedono le facciate di quattro basiliche con in basso la scritta Roma. Sull 'altro i Santi a cui sono dedicati: S. Pietro con la chiave in mano, S. Paolo con la spada, S. Giovanni Battista che battezza lungo il Giordano e la Madonna con in braccio Gesù. Si legge anche una data: 1625 ed è questa la cosa più importante spiega Padre Lavini. Infatti la Chiesa ogni 25 anni dà la possibilità di ottenere il condono delle proprie colpe. Il 1625 ricorda un Anno Santo e quindi il passaggio, nel Golubro, di una persona che si è recata a Roma per acquistare l'indulgenza.

Poi, durante il viaggio di ritorno, si è fermata all'eremo ove i monaci avevano adibito alcune stanze per la sosta dei pellegrini; proprio in una di questa P. Pietro Lavini ha rinvenuto il medaglione.

E' una delle molte testimonianze dalle quali si può dedurre che la via del Golubro ebbe un ruolo fondamentale nella storia ma senza tener conto di tutto questo, non si riuscirebbe a capire fino in fondo del perché molto tempo fa su quello “scoglio” a strapiombo sulla gola e alle pendici del Monte Priora sia nata una chiesetta che, ancora oggi grazie a P. Pietro Lavini, continua ad essere meta di pellegrinaggi continui….proprio come allora!



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